anthony-joshua-charles-martin-ibf-tale-of-the-tape_3416262di Giuliano Orlando

Week end con i controfiocchi per la boxe mondiale. Anthony Josha, gigante di colore, nato 26 anni fa a Watford, nell’Hertfordshire, cittadina collinare a 25 km. di Londra, diventato popolare dopo aver conquistato sia pure con molti punti interrogativi l’oro olimpico ai Giochi del 2012, svoltisi a Londra, ai danni del più meritevole Roberto Cammarelle, sabato sera tenta il grande colpo. Alla O2 Arena Millenium Dome, la stessa struttura che ospitò la boxe a cinque cerchi, tenta il colpo che vale il mondiale IBF, al momento in possesso di Charles Martin (23-0-1), aitante mancino del Missouri, che dopo aver conquistato il vacante titolo – tolto a tavolino all’irlandese Tyson Fury, che aveva fatto il pieno di cinture battendo Wladimir Klitschko, per non averlo difeso nei tempi previsti – a spese del cosfidante ucraino Vyacheslav Glazkov (21-1-1). Un match dall’esito imprevisto. Al terzo round, in situazione di perfetta parità, l’ucraino scivolava rovinosamente al tappeto, senza ricevere alcun pugno, rovinandosi il ginocchio destro. Vittoria per kot dell’americano. Impossibile valutare l’effettivo valore del vincitore, come dello sconfitto. Ci si attendeva una difesa di routine, ma l’offerta inglese risultava così stimolante da essere accettata. Un rischio calcolato o la certezza che il campione ha le armi (vedi pugni) per tacitare le ambizioni del giovanotto di casa? Vedremo chi aveva ragione. Di fronte due picchiatori, sia pure con discrete basi tecniche. Joshua ha vinto per KO i 15 match disputati, ma molti avversari erano collaudatori destinati al tuffo. Più impegnativo il cammino di Martin, 30 anni contro i 27 dello sfidante: dei 24 rivali, 21 sono finiti KO. La differenza potrebbe essere quella di chi ha mascella più resistente. Tasto dolente dell’inglese che nei dilettanti subì un paio di ko clamorosi. Da allora si è rinforzato, diventando un gigante (1,98) di oltre un quintale, Ma pure Martin non scherza e pur con un repertorio meno vario, non è certo da sottovalutare. Come forse hanno fatto gli scommettitori che quotano vincente Joshua 9-2. “Non mi piace affatto partire favorito – ha sottolineato lo sfidante – anche perché ho tutto da perdere. Martin è tipo tosto, ho visto il record e sarà battaglia dura. Voglio vincere, questo è chiaro, però dovrò soffrire”. Per Joshua l’opportunità di combattere per il mondiale dopo soli 15 incontri è una specie di record. Tra i grandi, il più veloce è stato il grande Alì, al 20° imitato da Frazier, mentre Tyson ci arrivò al 28°, come Foreman e HolmesWladimir Klitschko al 36°. In passato era molto più lungo il cammino per arrivare al titolo, il più veloce risulta Joe Louis al 33°, Marciano al 43°, Patterson al 32°, Dempsey al 67° e Tunney all’83°, Jhonson il primo campione massimi di colore compì l’impresa al 65°, Walcott al 58° mentre Charles solo al 69°. Altri tempi. Nel ricco cartellone londinese altri due mondiali a conferma del dominio inglese sul fronte europeo. Il titolare IBF dei piuma, Lee Selby (Ing. 22-1) difende lo scettro contro Eric Hunter (Usa 21-3), che rilasciato dichiarazioni esplosive alla vigilia. Jamie McDonnell (Ing. 27-2-1), titolare nei gallo WBA, sulla carta ha una difesa facile contro Fernando Vargas (Mes. 29-9-3). A distanza di alcune ore, in Nevada (Usa), nella rutilante Las Vegas, l’appuntamento è all’MGM Grand Garden Arena, uno dei riferimenti fissi per la grande boxe. A fuoco il filippino Manny Pacquiao (57-6-2), che dopo 21 anni di carriera, culminata con sei cinture mondiali (mosca, supergallo, superpiuma, leggeri, welter e superwelter), sale sul ring contro Timothy Bradley (Usa 33-1-1) sui 12 round. Sfida storica, perché dovrebbe mettere la parola fine all’attività agonistica di questo campione che partendo dallo sperduto villaggio di Kibawe nella regione del Bukidnon, ha scalato la cima del mondo pugilistico, diventando uno dei pugili più titolati e ricchi, mantenendo nel contempo il contatto col popolo meno abbiente. Al vertice dei suoi pensieri. Per questo a 37 anni, ritiene sia giunto il momento di operare solo per loro. Lo ha ripetuto per tutta la vigilia: “E’ arrivato il tempo del ritiro, dopo questo match che debbo assolutamente vincere, mi dedicherò alla politica, cercando di aiutare il mio popolo a crescere a tutti i livelli. Cercherò di convincere i giovani a scegliere lo sport invece che strade sbagliate”. Manny è il filippino più popolare in assoluto, fa parte del parlamento nazionale. Manny conosce bene l’americano, lo ha già affrontato due volte, la prima nel 2012, subendo una sconfitta immeritata, criticata da tutta la stampa, una giudice dopo quel cartellino venne sospesa. Due anni dopo, la rivincita diede ragione all’asiatico. La bella, sempre a Las Vegas, assume importanza essendo l’ultimo match di una storia irripetibile, iniziata nel 1995, con un Pacquiao, che a 16 anni pesava 50 kg. Nel corso della carriera ha affrontato tutti i migliori leggeri, welter e superwelter e anche medi, come Oscar De La Hoya, oltre a Ricky Hatton, Miguel Cotto, Antonio Barrera, Shane Mosley, Brandon Rios, Antonio Margarito, Erik Morales, fino a Manuel Marquez uno dei più ostici come Floy Mayweather l’ultimo prima di Bradley, dal quale venne sconfitto nel match più pagato nella storia della boxe, nel quale incassò più di 40 milioni di dollari, tra introiti vari. Stavolta la borsa ufficiale è di 8 milioni ai quali aggiungerne altrettanti per i diritti tv. Bradley si accontenta di 4 milioni. Niente male per un confronto valido per l’inconsistente cintura internazionale WBO welter. Nel sottoclou, l’armeno tedesco Arthur Abraham (44-4) campione supermedi WBO di lungo corso, mette la cintura in palio contro il messicano Gilberto Ramirez (33) imbattuto ma anche un’incognita. Il rischio per il tedesco è pagato mezzo milione di dollari, allo sfidante 150.000 $.

 

Di Alfredo